PAOLO MANZI
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Paolo nasce il 5 aprile 1937 a Portoferraio (LI).
Inizia nel 1953 a dipingere giovanissimo, a soli 16 anni, sotto  l'illuminato insegnamento del Prof. Carlo Domenici. Studia frattanto a Firenze, al Liceo Artistico, diplomandosi.

Il capoluogo toscano gli regala anni di studi e di lavoro, negli anni ’60 lavora, prima nel settore dell’arredamento, (è stato tra l’altro direttore dei lavori del Caffè Le Giubbe Rosse), poi come professore di educazione artistica alle scuole medie.
A Firenze si sviluppa come pittore, studiando e visitando le maggiori Gallerie d’Europa, ma con l’anima ancorata all’Isola d’Elba, che è sempre stata il suo punto di contatto con il mondo.
Nel 1969 espone le sue opere a Milano alla Galleria Sant’Ambrogio, insieme al Gruppo Artisti Elbani.
La prima personale di Manzi è nel 1970 alla Galleria Ponte Vecchio di Firenze, dove espone ben 33 opere. Sarà questa la mostra che lo proclama come pittore e che lo lancia sulla scena artistica nazionale.

Dei suoi quadri colpiscono i soggetti: i cavalli, le barche, i vicoli di Portoferraio, i paesaggi cari delle sue terre, ma soprattutto il suo tratto pittorico è riconoscibile dalle figure.
I personaggi dei lavori umili che affondano con forza nelle proprie radici, i pescatori, per i quali si è ispirato anche al padre, il portoferraiese Mario Manzi, uomo che conosceva bene il mare, persona schietta, di una antica verità e compostezza.
L’immagine prende forma attraverso la mano di Manzi.

Il movimento si sviluppa immediato, come nei suoi famosi quadri dei pescatori che traggono le reti: l’abilità di Manzi era quella di catturare il movimento nella tela, come se i soggetti fossero mossi da un vento invisibile che soffia su ogni sua pennellata.
Manzi semplifica attraverso i suoi lavori il messaggio dell’Elba: la fierezza, la purezza, la na turalezza, le sfumature che solo chi appartiene a questa isola sa cogliere.
Il pudore è l’impronta caratteristica dei suoi ritratti, nei quali cela il volto per lasciare una libera interpretazione dell’intimità allo spettatore e la forza immensa e dirompente dei silenzi che rappresenta attraverso i lineamenti del viso poco accennati, mai svelati nella loro sostanza.

Manzi è stato un artista in continua ricerca e sperimentazione, si è cimentato anche in incisione e litografia, fino all’ in contro artistico con la moda per la creazione dei suoi foulard dipinti.
Dagli anni ’70 le sue opere sono state esposte nelle migliori gallerie d’Italia e anche all’estero, ma molte delle sue personali avevano luogo sempre all’Elba. I suoi dipinti figurano in moltissime importanti collezioni private.
È morto il 26 maggio scorso a Sesto Fiorentino, dove risiedeva ormai da diversi anni con la famiglia, a pochi giorni di distanza se ne è andata anche la sorella maggiore Sara.

I suoi dipinti figurano in moltissime importanti collezioni private.


Alessandra Abramo



... Manzi è indubbiamente un poeta della vita: un poeta finissimo e puro che traduce in visioni pittoriche i molti aspetti di essa: il delicato paesaggio inondato di sole o la grigia giornata brumosa intristita dalla lenta e fitta pioggia. Ma l'uno e l'altra, anche esprimenti sentimenti diversi e di-versi stati d'animo, sciolgono un cantico alla creazione fino ad indurti a riflettere e, magari, a portarti a pensieri che ricordano l'infanzia perché dall'infanzia abbandonati nel tumulto delle passioni di questo nostro vuoto mondo.
da "LA NAZIONE"

C'è in Manzi il gusto di deformare il reale in senso aggressivo, drammatico, e questa aggressività egli la tra-duce formalmente_ in violente contrapposizioni cromatiche in virtù delle quali il quid rappresentato viene sbalzato dal piano di sfondo con un notevole senso contrappositivo. Sono infatti questi contrasti uno dei motivi stilistici costanti: gli piace creare una macchia chiusa e raccolta che si evidenzi per opposizione da uno sfondo chiaro e luminoso.
da "LA NAZIONE"

L'opera colpisce oltre che per l'impianto pittorico, anche per l'intensità dei valori che essa esprime. C'è in Manzi il gusto di deformare il reale in senso aggressivo, drammatico, e questa aggressività egli la traduce formalmente in violente contrapposizioni cromatiche in virtù delle quali il quid rappresentato viene sbalzato dal piano di sfondo con un notevole senso contrappositivo. Sono infatti questi contrasti uno dei motivi stilistici costanti: gli piace creare una macchia chiusa e raccolta che si evidenzi per opposizione da un sfondo chiaro e luminoso. Si, perché in genere questi volumi che egli imposta definendoli internamente con forti linee diagonali secche ed asciutte, si chiudono in se stessi di un qualcosa che e legato con lo sfondo più in antitesi che per affinità. Sono, dunque quello della linea e quello della massa, due tratti constanti di Manzi, che ama impostare la composizione avvalendosi di questi marcati tratti spigolosi che tagliano e scandiscono la figura all'interno e la raccordano e le collegano con il piano in cui la gravità e da cui emerge violentemente per quel netto contrasto cromatico di cui parlavo. Si ha perciò l'impressione di strutture solide, granitiche che campiscono lo spazio con energia e decisione quasi, si potrebbe dire, con prepotenza.
da "LA NAZIONE"

...Una pittura di ordine mentale, ben squadrata, di netta definizione plastica, che si regge soprattutto sulle scansioni della luce. È interessante notare questo approdo di una lunga tradizione toscana in una artista che cerca di conciliare senso e intelletto, pulizia formale e"sentimento"della.luce. Le opere sono a vario soggetto, ma quasi tutte imbevute di un "plein air" arioso, deciso, immediato, senza infingimenti e artifici. Piace anche e soprattutto per questo.
dal "GAZZETTINO DI VENEZIA"

...Particolarmente amate le figure umane, i cui con-torni si stagliano netti e precisi contro lo sfondo fatto quasi sempre di colore non di natura, quasi a racchiudere meglio uomini e donne in un loro destino segreto buio circolare, un destino antico fatto di fonde radici isolante. I visi non si vedono, per lo più macchie impenetrabili, è la massa del corpo che conta, che riempie il quadro con la sua potenza oscura e capace di giungere direttamente alla comprensione intima di chi guarda.
da "IL GIORNALE DELL'ELBA"

...II colore è la materia stessa che crea le immagini e dà loro forma, scandendo tonalità ben definite; un gioco di luce che pone in rilievo le figure fino a compenetrarle nell'animo di chi osserva, gioco voluto da una tecnica non comune e per questo notevole.
Il tutto è fuso con equilibrio razionale e fresca sensibilità del reale, apportatori, alla sua pittura, di armonia e delicato lirismo.
da "LA NAZIONE"

Recensioni sulle sue mostre sono apparse in: Panorama - Qui Bologna - Corriere della Sera - Il Telegrafo - La Nazione - Il giornale d'Italia - Corriere Elbano - Giornale dell'Elba - Arte Bolaffi - Lo Scoglio - Il Tirreno - Il Resto del Carlino - RAI - Cronache Italiane.


C'è un momento categoriale, nella pittura italiana, che può venir definito del naturalismo. Esso spazia, nella seconda metà dell'Ottocento, in aree geografiche accomunate da un'unica poetica: in Toscana i macchiaioli, e soprattutto i paesaggisti come Fattori, Sernesi, Borrani; in Lombardia e Piemonte un arco di esperienze che va da Delleani a Mosè Bianchi; nel Veneto la stagione veristica che nasce da Ciardi e si sviluppa fino a Milesi.
Accomuna questi pittori il tentativo di coagulare, quasi, gli umori della terra: un senso di immedesimazione tra l'uomo e la natura, senza mediazioni intellettualistiche come senza sentimentalismi. Un'arte, in sostanza, che osserva, analizza, ripropone.
A questo momento che va al di là dei limiti cronologici, fino a perdurare a tutt'oggi — appartiene Paolo Manzi, toscano di origine livornese, formatosi artisticamente a Firenze.
È proprio nella continuità del naturalismo italiano che van-no cercate le matrici di Manzi. Troppo spesso una critica legata al concetto delle avanguardie storiche ha negato che esista tutto un legame — concreto, tangibile — tra la stagione realistica dell'Ottocento e quella che s'è definita classicista (o magari "novecentesca") degli anni Venti e Trenta.
Un Tosi, un Carrà, un Viani, lo stesso Sironi, non si intendono appieno se non attraverso quel cordone ombelicale, che li lega ai "maestri della natura". Pittura soda, ferma, compatta, che cerca anche nelle screziature della luce il senso del "vero": e non un "vero" labilmente fenomenico, e quindi sfuggente, come nei pennello degli impressionisti, bensì qualcosa cui la "forma mentis" si possa riferire senza equivoci.
Che cosa cerca in effetti, se non di "realizzare" cézannianamente la natura, un Tosi? E sintomatico che questa corrente, sia pur combattuta dalle avanguardie di vario genere, costituisca quasi una sana reazione alle sofisticazioni e agli inquinamenti anche del nostro tempo: intendo di questi travagliati anni Ottanta. Vediamo quindi un Manzi come altri artisti che direi, al limite, "ecologici" — senza il paraocchi. Lui stesso, Manzi, si sente inserito in un filone che va dagli artisti della "macchia", cui è anche geograficamente vici-no, a quelli dei "Valori plastici" e del "Novecento". Da Fattori a Carrà, in sintesi. E una scelta non soltanto culturale, ma anche fisiologica. L'ha fatta già all'inizio degli anni Cinquanta quando, giovanissimo, ha cominciato a farsi largo nel mondo della pittura con le prime mostre.
Niente improvvisazioni, niente vaghezze atmosferiche o stilismi d'accatto; bensì un costruire la forma razionalmente, secondo il dettato della natura. Da buon toscano, era la linea che gli consentiva di partire con nettezza lo spazio, di attuare scansioni armoniche, di tentare una plasticità ferma, compatta; e che, al limite, gli dava la possibilità di imbrigliare la stessa luce, riconducendola ad una analisi scientifica, prima che lirica. Naturalmente proprio il paesaggio toscano, spesso così scabro e chiaroscurato, era il punto di partenza di un viaggio che è continuato negli anni fino ad oggi: fino alla definizione, ormai personale e autorevole, di una sua maniera ormai riconoscibile, frutto di lunghe, attente ed amorevoli esperienze sul "reale". I soggetti sono quelli che direi "classici": barche in secco in riva al mare, cavalli in Maremma, figure sedute sull'erba o sulla sabbia, pescatori al lavoro, vicoli di paesini, figure di donne e, naturalmente, paesaggi, per lo più col fondo del mare.
L'ambientazione toscana è inconfondibile, soprattutto nel suo versante labronico e maremmano (in ciò l'affinità con la tematica di Viani è evidente). Colpisce subito la forte strutturazione plastica della pittura. L'ossatura del disegno risalta persino nei tratti secchi e rapidi, che costruiscono le masse (soprattutto le figure) con una pregnanza che direi fattoriana. C'è una tensione nervosa, che giunge ad una sintesi volumetrica, cosicché le forme appaiono quasi sgrezzate con l'accetta, piene di una energia compressa. Si sente che dietro l'artista c'è tutta un'esperienza che non prescinde, come per Sironi, da un'esperienza che, al limite, avvicina la pittura alla scultura, in un bisogno di dar rilievo, di evidenziare, di "solidificare". Così, le figure umane risaltano quasi a tutto tondo; ed alcune paiono addirittura sorgere dalla terra, piantate con radici che assumono risvolti simbolici. Il fondo che ho definito naturalistico è proprio questo. La pittura nasce dalla terra: porta in sè gli umori e le pulsioni di un attaccamento alla Gran Madre. Ciò appare sempre e con estremo risalto. Persino le barche, che pur galleggiano in una sorta di liquidità atmosferica, in cui cielo e mare paiono fondersi, portano questo senso di ingombro fisico che riporta alla ceppaia, al tronco, alla grande radice, alla forza primigenia della natura.
Anche nelle marine, che generalmente in pittura comportano giochi e delicatezze atmosferici, Manzi resta fedele al suo realismo strutturale. Se poi si guardano certe figure, esse conservano sempre la solidità di un elemento vegetale: escono dalla terra come germogli, come virgulti. Nel contempo, a togliere grevezza alle forme è un elemento che diventa peculiare in Manzi: la luce. Essa risalta dai tagli secchi, innerva la composizione, le immette una specie di vibrazione, le dà vita. Quasi sempre si tratta di controluce. I fondi sono d'un chiarore persino abbacinante, assoluto: lembi di terra chiara, ritagli di mare, cieli senza nubi. E in questi fondi che le forme acquistano una sorta di ieraticità, quasi un senso religioso. La precisa calibratura dei toni, sempre accordati in senso musicale e ancor più uniti dall'effetto del controluce, accentua l'impressione di grandiosa semplicità che si ricava dalla visione.
La luce, in-somma, è l'elemento che, pur non togliendo fisicità alle cose, le immerge in un clima che impercettibilmente tende a diventare stato d'animo. Ecco la profonda "verità" dei quadri di Manzi. Tutto può apparire legato alla rappresentazione della natura: uomini, oggetti, alberi, campagne, marine. E, nel contempo, tutto rimanda a qualcosa che sta dietro: ad una sorta di alito invisibile che riscalda ogni immagine. Ben si capisce l'interesse che Manzi da molti anni dimostra per il periodo storico dei "Valori plastici" e della Metafisica. Si è sempre trattato, per lui, di estrarre dalle cose il loro simbolo arcano. Il procedimento, com'è nella natura dell'artista, non è mai artificioso e men che meno appariscente. Manzi vuole dare, con discrezione e persino con pudore, il senso di una trasposizione simbolica della forma. S'è detto della religiosità che quasi emanano certi quadri coni loro fondi d'un chiarore assoluto. Indubbiamente la carica elegiaca che traspare si irradia: solitudine, meditazione, immedesimazione dell'uomo nel suo destino.
I problemi sociali, i travagli del nostro tempo, le nevrosi, le lunghe inquietudini stanno quasi nel sottofondo: non emergono, ma sono pur sempre presenti. E una forma di catarsi. La fisicità dei gesti (diciamo ad esempio dei pescatori che traggono le reti) rimanda ad un rituale arcaico dietro cui sta un senso di tragedia antica, con la sua compostezza, la sua dignità umana, la sua austerità. Non è forse un alto silenzio greco che sovrasta tutto? Di fronte a questi quadri si ristà immoti. Essi, nella semplicità dei grandi sentimenti universali, ci parlano.
Non è un'imposizione ideologica: è l'invito ad un colloquio. La realtà tangibile dei luoghi, la perentorità delle forme naturali, le movenze stesse delle figure, la spazialità senza limiti dei fondi: tutto ci dà il senso di un destino cui l'uomo va incontro. Alla sofferenza, alla fatica del lavoro quotidiano, si sovrappone una sorta di grande fede che nasce dalle eterne leggi della natura, cui l'uomo senza squilibrio si inserisce, egli stesso elemento della "macchina" perfetta del Creato.
Come dire? Un quadro, nella sua fisicità, assume la funzione d'uno specchio che traduce i sentimenti interni dell'uomo. Manzi ci induce soprattutto questo sentimento di equilibrio, che è anche ecologico, al limite biologico. Equilibrio tra senso e ragione, tra natura e intelletto, tra istinto e ordine. C'è da chiedersi a questo punto: una pittura simile come si inserisce nel panorama delle estetiche così frastagliate d'oggi? La risposta non può essere equivoca.
Manzi si trae al di fuori delle sottili seduzioni della moda, non ammicca alle varie sirene. La sua pittura vuol avere il timbro forte dell'universalità, proprio perché affonda le radici nell'elemento immutabile ed eterno della natura. Nello sviluppo d'una pianta v'è sempre la stessa pulsione vitale; così nella pittura di Manzi la realtà della vita si riversa senza obbedire ai condizionamenti del tempo. II tempo, semmai, è quello scandito dal ritmo delle stagioni.
C'è qualcosa, appunto, cui appigliarsi, per non restare naufraghi nella corrente: è la gran regola della natura. A questa regola Manzi sottomette anche la sua abilità di pittore. Non Dissimula, ma esprime. I suoi sentimenti sono quelli primari dell'uomo.
Ed è proprio da questo punto di vista che si può cogliere la validità di una tale pittura: validità che non poggia su sofismi, bensì sulla realtà dell'esperienza umana. Forse che, in un tempo come il nostro di divisioni e settorialismi, non c'è bisogno di qualcosa che miri all'universale 


Paolo Rizzi


L'Amministrazione Comunale di Portoferraio ha voluto con questa Mostra celebrare due eventi: la scomparsa recente di Nello Francesetti, artista concittadino. e l'Inizio delle attività del Centro delle Arti visive e figurative. intitolato a Telemaco Signorini, al di fuori di ogni ritualita da centenario e inaugurando, speriamo. un nuovo modo di costruire programmi culturali.


Massimo Scelza

Assessore per la Cultura